Dalla cultura della violenza alla cultura dell’amore
Dalla cultura della violenza alla cultura dell’amore
Intervento all’Assemblea dell’Istituto “Fermi” di Rosignano Solvay in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne del Dott. Massimo Piccione – Associazione LUI Livorno
Mercoledì, 29 novembre 2017, ore 9:15, IISS “Enrico Fermi”, via della Repubblica 16 – Rosignano Solvay (LI)
Presenti all’iniziativa:
- Rappresentanti degli studenti dell’IISS “Enrico Fermi” di Rosignano Solvay (LI)
- Clarissa Giusti e Tiziana Benvenuti, Associazione Iaia di Donoratico (LI)
- Elena Bartolomei, scrittrice, Castagneto Carducci (LI)
- Massimo Piccione, Associazione LUI () di Livorno
Apre l’assemblea una voce fuori campo che legge il brano di Franca Rame sulla violenza sessuale da lei subìta nel 1973 (“Lo stupro”, dal testo teatrale “Tutta casa, letto e chiesa”). Poi prendono la parola alcuni ragazzi dell’Istituto (in particolare Emma, Gabriela e Federico) presentando l’iniziativa e lasciando la parola prima all’Associazione Iaia di Donoratico (Clarisa Giusti poi Tiziana Benvenuti), poi a Massimo Piccione di LUI- e infine alla scrittrice Elena Bartolomei che ha parlato del suo libro “Il viaggio”. Qui si riassumono i temi dell’intervento del rappresentante del gruppo LUI (che in realtà si è svolto piuttosto sotto la forma di un’interazione che si è co/costruita con i partecipanti all’assemblea).
Dalla cultura della violenza alla cultura dell’amore
Sento il desiderio di inserirmi nel solco dell’intervento fatto un paio di settimane fa a Capannori (Lucca) da Lea Melandri, militante femminista e nonviolenta: “Quella cosa che abbiamo chiamato amore”.
E vi confermo che l’unica strada utile che si presenta, oggi, davanti a noi, di fronte a queste violenze contro le donne non può essere che quella di passare da una cultura dell’odio, della violenza, a una cultura del rispetto, della parità, dell’amore.
Credete forse, ragazze e ragazzi, che una giovane donna abbia le stesse possibilità di realizzarsi nella vita di un suo coetaneo? Quante di voi vanno tanto meglio a scuola di loro eppure domani non faranno il mestiere per il quale si sono preparate ed hanno studiato?
Tutto questo ha sicuramente a che fare con una condizione umana speciale, che esiste da millenni ed è ancora oggi da condannare e rigettare: la sottomissione del genere femminile a quello maschile.
Il movimento femminista ha, fin dagli anni Settanta, portato avanti delle battaglie che hanno certo in parte migliorato la condizione della donna nella nostra società (lotta allo stupro, divorzio, aborto, nuovo diritto di famiglia), ma è restato in tutto questo ancora indietro la sfera più intima della donna, quella dei sentimenti.
Si tratta della “violenza invisibile”, come è stata definita, quella che proviene dalla sfera degli affetti e familiare. È una verità di fatto, questa, che è così difficile da riconoscere e combattere e che è rimasta tanto a lungo taciuta. Ed ancora oggi si fatica a parlarne…
E invece lo si deve fare perché è proprio dal cercare di modificare in meglio il modo in cui i sessi si confrontano e si amano che possiamo rifondarci nuovamente e intraprendere una nuova via verso la realizzazione di noi stessi. Sta nelle piccole cose, le più comuni e quotidiane, la base di questo cambiamento.
Prendiamo una ragazza ed un ragazzo adolescenti di oggi a cui piace un altro ragazzo o un’altra ragazza. La ragazza spesso ancora oggi lo guarda da lontano, mette un “like” sulle sue fotografie sul web e, se è proprio “coraggiosa”, ne parla con un’amica. Il ragazzo invece si propone e attacca discorso: “Ti vuoi mettere con me?”.
Ancora oggi c’è la paura di essere definita una ragazza facile, dunque si aspetta, si sospira, si sogna di essere corteggiata. E, sul versante maschile, c’è la figura dello spavaldo conquistatore. Siamo insomma ancora ai tempi dei cavalieri della tavola rotonda e delle damigelle riservate con gli occhi bassi, chiuse nelle torri della famiglia di origine.
Oppure ci sono gli scatti più o meno nudi veicolati sui telefoni cellulari e l’amore più o meno liberamente sprecato per “togliersi il pensiero”. Le ragazze sono ancora, purtroppo, spesso polarizzate tra le “sante” e le “puttane” che il movimento femminista ai tempi delle loro mamme e nonne stigmatizzava. Quelle che anche la televisione e la pubblicità continua a proporci.
Poi c’è l’amore: nel quale la distinzione dei sessi continua a irrigidire i ruoli. Da una parte la ragazza che si sente protetta dal suo fidanzato. Dall’altra un giovane uomo che va sicuro nel mondo e nasconde le sue paure e le sue insicurezze perché non “fanno uomo”. Non c’è spazio sufficiente per la condivisione delle emozioni e delle incertezze nella crescita.
L’uomo è forte, la donna accogliente; l’uomo è cacciatore, la donna lo rispetta riservandosi per lui; l’uomo va ad affermarsi nella vita e nel lavoro, la donne negli affetti, nella famiglia e, al limite, nelle professioni “di cura” (insegnante, infermiera, segretaria, commessa, etc.).
Questa chiusura all’interno della coppia, questa sensazione che la donna sia tuttora un’“appendice” dell’uomo, il fulcro della famiglia e la madre che consola, insomma la sicurezza che regola l’operatività della coppia e delle attività di casa, la madre archetipica di tutti, sia dei figli che del marito, non consente fluidità, scambio, condivisione.
Ed è in questo nucleo innaturale e morboso che si possono realizzare le peggiori nefandezze della nostra società: la svalutazione, la prevaricazione che arrivano fino alla violenza delle parole (o che si realizza perché “non ha” parole) e a quella fisica. Il “signore” di casa non ha mezzi e strumenti per condividere nella coppia le proprie insicurezze e forse non ha nemmeno gli strumenti per superarla, da solo, e ricorre ai peggiori abomini del sesso maschile prevaricante sul sesso femminile abituato a mettersi in secondo piano e assoggettarsi a lui.
Da “Tu non mi capisci” a “Stai zitta!” il passo è breve. E le violenze domestiche, silenziose e nascoste dalle donne quasi a loro stesse (e poi alle altre donne, alla famiglia, al sociale e alle forze dell’ordine e della giustizia) tornano ad essere un’emergenza sociale. Anzi diventano tale come mai prima sia mai apparso.
Perché oggi fortunatamente la donna ha acquisito, almeno formalmente, la possibilità di scegliere il proprio compagno, di allontanarsi da un rapporto finito, o sbilanciato, o violento. Ma questo accresce le insicurezze dell’uomo che non può più essere rassicurato e coccolato dalla “sua” donna, anzi non la sente più “sua”, ma non riesce ancora a sentirla come “libera”.
Non torneremo mai più indietro (e menomale!) a dei ruoli sessuali rigidamente fissati come nei decenni scorsi. Ma i giovani uomini e donne di oggi possono, anzi devono cogliere l’occasione di essere davvero dei “nuovi” uomini e delle “nuove” donne. Possono e devono mettere in gioco e sul campo i propri sentimenti ed emozioni per avere diritto ad una crescita sana ed equilibrata ed aspirare a raggiungere (come dice la costituzione statunitense) il proprio “diritto alla felicità”.
Dice bel hooks in “Tutto l’amore”: “Per la mia mente di bambina amore era il benessere che si provava quando in famiglia ti facevano capire che eri importante e tu trattavi gli altri come persone che contavano. L’amore coincideva sempre e solo con il benessere”. È questo l’amore sano, quello che va ricercato.
L’amore è rispetto e valorizzazione reciproca, non dipendenza e necessità. L’amore tra persone ugualmente libere e responsabili è l’unico vero e profondo amore. È la scelta di ogni giorno, è crescere e svilupparsi assieme in un cammino comune. Ed accettare che una relazione possa finire o che possa nel frattempo nascerne un’altra.
La proposta di partire dalla propria vita e dalla propria storia è dunque, secondo noi, quanto mai attuale e ci piacerebbe immaginare che ci fossero dei luoghi appositi per questo approfondimento anche per gli uomini, dove ci si spoglia dai vecchi panni del maschile e si cercano i propri veri valori e ambizioni di vita.
Luoghi dove si intuiscano, si riconoscano e si seguano le strade meno battute del Maschile (la tenerezza, il piacere dell’abbandono, la voglia di lentezza, la solidarietà, l’assistenza dell’altro/a, il piacere dell’arte e dei sensi per dirne solo alcune). Per passare dall’“io penso” all’“io sento”, dalla mente al cuore.
Noi abbiamo fondato il Gruppo di Condivisione del Maschile che ogni due settimane si incontra a Livorno. E siamo aperti all’incontro ed allo scambio di esperienze.
E siamo felici di essere su questo cammino di crescita umana, di ri/fondazione dei termini del “maschile” e per un nuovo incontro col “femminile”. Con umiltà, progressività e coraggio.
Insomma… noi ci siamo. E vi aspettiamo!