Per mia colpa, mia grandissima colpa…

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Siamo lieti di riportare di seguito un articolo della rivista Intimità, della Dott.ssa Giulia Sardo, la quale ha scelto di intervistare l’Associazione LUI.

Poco più di un anno fa, l’omicidio di Giulia Cecchettin per mano di Filippo Turetta, ex fidanzato da cui la ragazza aveva preso le distanze, ha sconvolto l’Italia. In seguito a questo straziante femminicidio, di cui si è parlato molto, tutte abbiamo sperato che qualcosa potesse cambiare. Invece il 25 novembre celebriamo l’ennesima Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne con una triste consapevolezza: anche gli ultimi 12 mesi hanno rappresentato per l’Italia una drammatica carneficina. Secondo i dati del Ministero degli Interni, da gennaio a ottobre sono state uccise più di 90 donne. E nel 92,7% dei casi l’assassino è un uomo. Di fronte a questa cruda realtà, viene inevitabile domandarsi quale sia il punto di vista maschile. La risposta arriva dalle tante iniziative sul territorio promosse dagli uomini per gli uomini che attuano comportamenti aggressivi e prevaricatori.

A Pordenone, l’associazione In Prima Persona. Uomini contro la violenza sulle donne (su Facebook hanno una pagina con lo stesso nome) ha ben chiaro che il tema va affrontato con ogni mezzo. «Costituita da un gruppo di uomini di varia estrazione, dal 2016 facciamo iniziative per sensibilizzare l’universo maschile sulla violenza contro le donne. In più, abbiamo uno sportello di ascolto, anonimo e gratuito, per consentire agli uomini di confidarsi. Grazie a questo, abbiamo toccato con mano una realtà durissima: non sono molti gli uomini consapevoli di avere un problema di violenza.Tanti si rivolgono a noi solo perché, con procedimenti penali già avviati, vengono invitati a contattarci dagli avvocati. E anche quei pochi che si presentano di loro iniziativa, all’inizio tendono a negare la situazione, anche se magari sono già stati allontanati da casa», spiega il presidente Nicola Mannucci.

Angelo G., 48 anni, con la sua storia conferma che per molti uomini è difficile ammettere di avere comportamenti violenti. «Quando ho spintonato Alessia non mi sono reso conto di quanto fosse grave. Le avevo proposto di convivere e lei mi aveva chiesto di aspettare ancora un po’. Deluso, l’ho aggredita. Un modo di comunicare folle, adesso lo so. In quel momento, però, mi sono sentito come se avessi solo esagerato un po’. La settimana dopo siamo tornati sull’argomento, Alessia mi ha detto che non avrebbe mai più accettato un gesto violento da parte mia e di nuovo quelle parole mi hanno devastato. Io violento? Ma cosa stava dicendo? Le ho dato uno schiaffo e neanche quella volta ci avrei dato peso se non avessi visto la scena riflessa nello specchio di fronte a noi. Guardandomi picchiare la mia ragazza, ho capito che avevo un enorme problema. Ho chiamato un centro per uomini maltrattanti e con l’aiuto di un terapeuta ho fatto chiarezza dentro di me». Anche Renato P., 43 anni, ha faticato a rendersi conto dei suoi comportamenti: «Sono cresciuto con un padre che ripeteva: “I maschi devono farsi rispettare”. Le sue parole, da bambino, mi sembravano quasi sagge. Quando, a 31 anni, sono stato tradito dalla mia fidanzata, l’ho aggredita stringendole forte il braccio. Sono tornato a casa confuso: da una parte ero fiero di essermi, per così dire, fatto va- lere, dall’altra mi facevo schifo. Mia madre, vedendomi sconvolto, mi ha chiesto cosa fosse successo. Poi mi ha svelato con sincerità che per via di mio padre la sua era stata una vita di umiliazioni. Le sue parole, unite agli occhi lucidi, mi hanno mostrato una realtà inaspettata. Ma mi ci sono voluti mesi per ammettere che il mio adorato papà era un marito aggressivo e che io stavo seguendo le sue orme. Ho chiamato un numero verde dedicato agli uomini in difficoltà e sono stato aiutato».

«Noi uomini adulti di oggi affondiamo le radici nel patriarcato, siamo cresciuti ascoltando affermazioni come: “I maschi sono sciupa- femmine” e “Non fare la femminuccia”. Insomma, facciamo tutti parte dello stesso brodo, da cui dobbiamo emanciparci», dice Jacopo Piampiani, psicologo, psicoterapeuta e co-fondatore dell’Associazione LUI di Livorno (associazionelui.it). Parole di quel tipo, che noi donne conosciamo fin troppo bene, contribuscono a creare una società in cui l’uomo, per potersi considerare tale, deve mostrarsi spavaldo, bullo, prepotente. Anche e soprattutto con l’universo femminile.

Il percorso personale di Piampiani l’ha messo nella condizione d’interessarsi al- le questioni di parità tra uo- mini e donne già da giovane. «Ho 44 anni e quando ero un bambino mia madre frequen- tava associazioni di donne. Di conseguenza, mi ha educato, per esempio, a un linguaggio “di genere”, rispettoso anche delle bimbe e delle ragazze. Nel 2008, poi, ho conosciu- to l’avvocato Gabriele Lessi, con cui fin da subito siamo entrati in sintonia e ci siamo confrontati su tanti temi. Per esempio, ci siamo domandati perché esistessero espressioni tipo “delitto passionale” e che cosa significassero davvero. Abbiamo deciso di fondare un gruppo di autocoscienza maschile. Con la nostra associazione, nata è nel 2010, offriamo uno sportello d’ascolto, progetti nelle carceri, corsi pre-parto per uomini che stanno per diventare padri, formazione e il Servizio P.U.M., dedicato agli autori di comportamenti violenti. Mettiamo a disposizione di chi ci contatta varie professionalità, dallo psicologo all’avvocato».

Propone iniziative di sostegno agli uomini anche CAM Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti (centrouomi- nimaltrattanti.org). Nata a Firenze nel 2009, l’associazione ha oggi sedi pure in Emilia, Sardegna, Lazio e Lombardia e offre servizi anche online. Per esempio, sul sito permette a mariti e fidanzati confusi di capire, rispondendo a un questionario, se hanno comportamenti controllanti. In più, propone un opuscolo di auto-aiuto che si può scaricare direttamente in Rete.

I sostegni al mondo maschile sono sempre più diffusi mentre la consapevolezza di mariti e padri è ancora troppo debole. «Il discorso vale soprattutto per gli over 40, i giovani sono più aperti. Da due anni promuoviamo nelle scuole superiori il progetto. La differenza tra me e te, in cui affrontiamo il tema della violenza di genere nell’ottica di modificare la mentalità di tutti: i ragazzi si rivelano sempre ricettivi e sensibili. Una vera e graditissima sorpresa», conclude Nicola Mannucci.

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