IL PAPA (PAPA’) DEL CAMBIAMENTO
Il dibattito sul nuovo modo di essere maschi al giorno d’oggi – emotivamente attivi, partecipi nella vita affettiva e nel ruolo di cura delle relazioni – è sempre più argomento di primo piano nella società italiana ed oltre.
In questo tempo di cambiamento, che coinvolge molte sfere del nostro vecchio pianeta, si è aggiunta la presenza di un uomo che finora pare essere la “rappresentazione plastica” del cambiamento o almeno della discontinuità comunicativa: sto parlando di Papa Francesco, Vescovo di Roma (come lui ama definirsi).
Mi piace notare il fatto che il primo anniversario del nuovo papato (13 marzo 2013-2014) quasi coincide con la celebrazione della Festa del Papà (19 marzo), ed è proprio questa contemporaneità di ricorrenze che mi spinge a scrivere sul “paternage” a partire proprio dall’osservazione interessata delle “gesta” di Jorge Mario Bergoglio: Papa (Papà) del cambiamento.
L’incipit che Francesco (già il nome dice tutto…) usò la sera dell’elezione a Pontefice dal balcone di Piazza San Pietro (“Fratelli e Sorelle, Buonasera!”) ci ha ben delineato quale fosse il proprio modo di vivere il nuovo status: pochi fronzoli, empatia, comunicazione, apertura al dialogo, ritorno all’essenziale.
La questione più importante non è tanto il fatto che il Papa argentino abbia ri-conquistato le simpatie dei propri fedeli, quanto piuttosto che abbia destato le attenzioni del “resto del mondo”, atei inclusi. Tali attenzioni dei non-cristiani derivano probabilmente da una sensazione di maggiore vicinanza alla gente che Francesco riesce ad emanare, non solo con una grande capacità comunicativa ma anche e soprattutto con la straordinaria semplicità delle proprie azioni.
Azioni concrete, dunque, come quelle simboliche di rinunciare all’appartamento papale per vivere in comunità, rinunciare alla croce dorata mantenendo la propria croce d’argento, rinunciare alle auto di lusso per muoversi (senza scorta) con utilitarie oppure in pullman con gli altri Cardinali, farsi fare foto “selfie” tra i giovani, bere il “mate” offerto per strada… fino ad arrivare alle gesta cristiane della lavanda dei piedi ai detenuti minorenni, del battesimo al bambino di una coppia non sposata, alle passeggiate tra la gente baciando e benedicendo gli ammalati, ai pranzi con gli indigenti, alla misericordia divina presentata come opportunità per tutte e tutti e molto, molto, altro.
La più grande apertura al dialogo, tuttavia, è avvenuta – a parer mio – durante il viaggio di ritorno dalla giornata mondiale della Gioventù tenutasi a Rio de Janeiro lo scorso luglio quando in aereo disse: “…Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo, […] e dice: “non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società”. Il problema non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli…”.
Un’apertura che può avere diverse letture ed interpretazioni, talune anche fuorvianti, però un messaggio chiaro c’è: un messaggio di inclusione sociale, un messaggio forte antiomofobo, un messaggio cristiano di amore.
Questo è ciò che ha reso veramente dirompente Francesco: la sua capacità di essere umile e credibile allo stesso tempo, binomio rarissimo che lo ha reso amato.
Il Pontefice argentino che ha impresso questo nuovo stile alla Chiesa cattolica è stato peraltro scelto dal prestigioso settimanale americano Time come persona simbolo del cambiamento nel 2013, perché: “E’ il Papa della gente. Non ha cambiato solo le parole, ha cambiato la musica”.
Una rivoluzione che nel contesto culturale italiano ha intaccato anche i settori dell’ateismo-agnostico: mi riferisco all’ampio dialogo volutamente cercato da Francesco con Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano La Repubblica.
In tale scambio, riportato per scritto, mi colpiscono in particolare due passaggi:
Scalfari: “Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa”;
Francesco: “E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”;
Scalfari: “Santità, quali sono i più gravi mali del mondo?”;
Francesco: “I più gravi dei mali che affliggono il mondo in questi anni sono la disoccupazione dei giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. I vecchi hanno bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno né l’uno né l’altra, e il guaio è che non li cercano più. Sono stati schiacciati sul presente. Mi dica lei: si può vivere schiacciati sul presente? Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia? È possibile continuare così? Questo, secondo me, è il problema più urgente che la Chiesa ha di fronte a sé”.
Da questi due risposte a domande cruciali si carpisce la visione del Papa sul futuro della Chiesa ed in generale del mondo, lasciando la libertà a tutte e a tutti di accogliere il Bene nella maniera in cui ognuno lo concepisce.
La normalità dell’uomo-Papa avvicina, attrae, conquista: una conquista di libertà, non per forza una conquista di nuovi adepti.
“Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è una aggressione . Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è una persona normale”: così Papa Francesco afferma in un’intervista del 5 marzo scorso al direttore Ferruccio de Bortoli pubblicata sul Corriere della sera.
Ragione e Vangelo danno l’impressione di poter stare insieme senza particolari problemi, senza necessità di sopraffazione, questo fatto apre grandi dibattiti fuori e dentro le Istituzioni religiose cattoliche. Di certo queste “aperture” non-aprioristiche fanno sperare in un ampliamento del dialogo.
Recentissime posizioni espresse dal Cardinale Kasper fanno intravedere altri nuovi possibili cambiamenti di indirizzo: “c’è un abisso tra dottrina sul matrimonio e la famiglia e la vita reale di molti cristiani», di cui ha parlato introducendo il Concistoro il cardinale Kasper, può far prevedere che la Chiesa aderisca a forme nuove di “misericordia”, quali ad esempio la comunione ai divorziati risposati e chissà che altro (Kasper: «Io propongo una via al di là del rigorismo e del lassismo: è ovvio che la Chiesa non si può adattare soltanto allo “status quo”, ma non di meno dobbiamo trovare una via di mezzo che era la via della morale tradizionale della Chiesa»).
I cambiamenti in atto sembrano non rispettare i tempi usuali delle Istituzione ecclesiastiche, scanditi in secoli, per questo destano tutte le preoccupazioni del “nuovo” sulla “tradizione”.
E’ certo che la Chiesa non potrà (e non dovrà) per forza plasmarsi alle nuove consuetudini della società contemporanea, tuttavia sarà avvincente vedere come Francesco riuscirà a guidare le nuove sfide culturali e teologiche che inevitabilmente dovrà affrontare.
Il rischio è quello di crearsi aspettative esagerate che potrebbero rimanere deluse ma nessuno sbaglia se non prova a prendere posizione ed a dissodare il terreno.
(Gabriele Lessi)