Anche “loro” genitori di “serie A”
Nell’ipocrisia della società di oggigiorno capita spesso di ascoltare giudizi sferzanti riguardo a realtà che non si conoscono o di cui si conoscono solo gli stereotipi.
E’ proprio per questo che scrivo questo breve articolo, al fine di dare “cassa di risonanza” ad una realtà che abbiamo avuto il piacere di conoscere noi di LUI: sto parlando della realtà italiana della Rete Genitori Rainbow (www.genitorirainbow.it), ossia “genitori LGBT con figli da relazioni etero”.
Lascio alla vostra curiosità l’approfondimento sulla storia di questa importante associazione, andando a sbirciare sul loro sito web, per concentrarmi maggiormente sul “vissuto” dell’esperienza di domenica scorsa.
RGR ci ha gentilmente invitato, come associazione LUI, a partecipare ad un incontro a Pisa, al fine di presentare il nostro progetto, le finalità, le attività, più un “focus” sull’istituto della Mediazione familiare.
L’occasione è stata lieta per aprire un percorso di scambio tra le due esperienza associative, ma, soprattutto, per raccogliere testimonianze ed istanze fino a ieri a noi poco conosciute.
Abbiamo ascoltato storie di uomini di orientamento omosessuale, relativamente alla propria esperienza di vita: quello che mi ha più colpito è stata la profonda sensazione di “volontà genitoriale” che traspariva nelle parole dei presenti: la prima preoccupazione riguardava la prole e non loro stessi.
Ecco come è caduto il primo stereotipo, ovvero quello di ritenere il genitore LGBT, a prescindere, incapace di sostenere il proprio ruolo di “creatore di vita”.
Quando F. ha iniziato a parlare della relazione con la figlia, del proprio ruolo di padre, mettendo l’accento sul “benessere” della figlia, mi sono accorto della genuinità del suo vissuto, dell’attenzione con la quale ha cercato di proteggere l’incolumità della bambina, senza però mentirle.
L’equilibrio tra le esigenze di “protezione” e “verità” è stato il fattore predominante nei racconti dei genitori rainbow, cioè la volontà di non rinnegare sé stessi e la propria volontà affettiva, ed al contempo salvaguardare la serenità dell’età infantile dei figli.
E’ interessante riflettere su ciò che è chiaramente emerso dalle testimonianze, ossia come l’ansia da “dichiarazione di orientamento sessuale” verso figli, in realtà, fosse sentita più dai genitori che dai figli.
Dalle storie ascoltate, spesso, i figli hanno accolto la comunicazione di “nuovo orientamento sessuale” del genitore rispondendo che “già avevano capito tutto” e che questo non avrebbe modificato l’affetto nei loro confronti.
Certo, si è parlato anche di dolore, di quel dolore – come ci raccontava V. – che si ha nel cercare continuamente di leggere attraverso gli occhi dei figli, sperando di non aver distrutto il proprio ruolo genitoriale, la propria credibilità, fino allora costruiti con fatica ed impegno.
Si è parlato anche di figli che non hanno accettato le determinazioni genitoriali.
Si è parlato della paura del bullismo e delle vessazioni contro i figli di genitori rainbow, sulla base dell’omofobia dilagante.
Si è parlato della preoccupazione nel gestire il rapporto post-coniugale, con dignità, cercando di non sfociare in guerre giudiziarie, con i figli posti come “merce” di contesa.
Prendere la decisione di fare i conti con sé stessi non è mai facile, ed in generale è segno di maturità e senso di responsabilità: quando G. ha raccontato dell’aiuto datogli dalla propria ex moglie nella “gestione” della comunicazione di “coming out” alla propria figlia, ho avuto la conferma di come nel mondo esiste anche il bene.
Una moglie che comprende il marito (anche in questa occasione) e per questo lo aiuta, nel supremo interesse della figlia in comune, è Amore (con la A maiuscola).
Poi si può avere tutte le opinioni del mondo, si può anche non condividere le scelte, ma l’amore deve essere valorizzato anche, e soprattutto, in questi contesti speciali, per questo vogliamo dargli spazio nel nostro sito.
L’emozione grande è stata anche quella di percepire la felicità di RGR nel dialogare con una associazione come LUI, tra le cui fila è presente una maggioranza maschile eterosessuale: una sorta di speranza per la società futura, il “dialogo”.
La potenza del “dialogo” ha travalicato gli stereotipi che i media ci presentano, concedendoci l’opportunità del reciproco ascolto, senza aver timore di non avere la possibilità di raccontarci per bene.
La sensazione, come diceva V., è che la difficoltà maggiore stia nel superamento degli ostacoli “presunti” e non di quelli “reali”.
Il solo fatto di stare insieme a parlare di queste tematiche, evitando pregiudizi e giudizi, è un risultato che ha una portata maggiore rispetto a quella di una piccola riunione domenicale, sperando sia foriera di “emulazione” nella società civile.
Talvolta, per metterci in ascolto, dobbiamo attuare una delle “7 regole dell’arte dell’ascoltare” teorizzate da Marianella Sclavi: “Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva”.
(GL)