La vita quotidiana nei Social Network: come Facebook, Twitter ed Instagram ci hanno cambiato stili di vita, comportamenti ed abitudini
In un periodo assolutamente non sospetto, quando internet nemmeno esisteva e la sola forma di comunicazione a distanza era quella del normalissimo telefono (fisso di casa oppure cabina pubblica), Andy Warhol, con uno di quei suoi guizzi d’ingegno premonitore che lo hanno fatto passare alla storia, non solo dell’arte, ebbe a dire:
“in futuro, ciascuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti”
Correva l’anno 1968, e l’icona della pop art aveva appena urlato al mondo la sua profezia. Uno slogan che avrebbe funzionato sempre e dovunque, e che tutti avrebbero cercato nel tempo di metabolizzare a proprio vantaggio. Divenne persino traccia del tema d’italiano agli esami di Stato nel 2011:
Prima prova: “Si richiede al candidato di riflettere sul valore effimero (o meno) della fama nella società contemporanea, analizzando in particolare i talent show e i social media (twitter, facebook, youtube)”.
Il genio della Factory, che tante volte si era reso protagonista (a volte ridicolo) con sue affermazioni strampalate (una su tutte: “la cosa più bella che ho visto a Firenze è il Mc Donald”), questa volta ci ha perfettamente azzeccato. Chapeau!
É proprio il caso di dire che mai previsione fu più geniale di questa perchè, oggi, il rincorrere una fama virtuale che dura il tempo di una sigaretta fumata nervosamente, è divenuta l’occupazione quotidiana di milioni di internauti. Occupazione che, mediamente, oscilla tra lo psicotico e il ridicolo, senza naturalmente tralasciare il macabro, come vedremo più avanti parlando del fenomeno della “necrofama”.
L’analisi del profilo Facebook di un normalissimo utente (minorenne ma non solo) è, il più delle volte, una vetrina della ripetitiva quotidianità della sua vita, fatta di mattinate a scuola, aperitivi pomeridiani, uscite e bevute con gli amici, attività tutte di cui viene spesso e volentieri fornito ampio e ridondante resoconto fotografico. Nelle sue vesti di principale social network al mondo, con una base odierna di più di un miliardo di utenti attivi che vi si collegano almeno una volta al mese, Facebook è non solo un mastodontico aggregatore di contatti, relazioni e frammenti di vita quotidiana, una perpetua e ridondante conference call tra utenti dei cinque continenti, ed un vero e proprio buco della serratura dal quale spiare ma soprattutto farsi spiare, ma anche, e forse soprattutto, un mezzo semplice, immediato e diretto per comunicare.
Per comunicare, d’accordo, ma che cosa?
Partiamo, per rispondere a questa ultima domanda, da quelle che sono le principali motivazioni che attirano gli utenti a iscriversi a Facebook ed a partecipare attivamente alla gestione del profilo della propria pagina. Da un sondaggio realizzato dalla società di ricerca Nielsen nel 2013 tra soggetti tra i 16 ed i 25 anni, “amicizia” e “divertimento” sono le due motivazioni principali (rispettivamente al 42 e 43% delle risposte), ed un 10% ne dichiara invece un uso senza una ragione precisa, che potremmo quindi catalogare con un “ci sono anche io, anche se non so esattamente perchè”. Il sondaggio è stato realizzato anche tra soggetti minorenni sebbene Facebook, almeno in Italia, preveda una età minima di iscrizione coincidente con il 18esimo anno d’età. La ragione è semplice ed intuitiva, tenuto conto di quanto facilmente ci si possa iscrivere al social network pur in mancanza del requisito della maggiore età (è sufficiente indicare un anno di nascita anziché un altro): Facebook pullula di profili di minori sotto mentite spoglie anagrafiche.
La privacy, e questo è un dato molto interessante che è emerso dal sondaggio, è considerata importante, ma poco più di uno su tre ha dichiarato di aver letto le condizioni di servizio. Gramo destino delle norme a tutela della riservatezza è quello di essere poste a tutela (anche) di soggetti che quotidianamente pubblicizzano sui social network, e quindi gridandolo al mondo intero, ogni genere e tipo di dato (anche sensibile o sensibilissimo) riguardante la propria o l’altrui persona. Su Facebook non è certo cosa rara, anzi è presochè la norma, imbattersi in soggetti che “fanno outing” rivelando la propria omosessualità, in ragazzine che pubblicano proprie foto discinte (a volte sino a farsi bannare il profilo), in genitori che pubblicano interi book fotografici dei propri figlioletti (anche neonati), in degenti in ospedali che postano la propria cartella clinica, e in assassini, colposi o dolosi che siano, che arrivano persino a postare sul proprio profilo il delitto appena consumato (è infatti notizia del primo dicembre 2014, come riporta in sito rainews.it, quella del post “Sei morta troia” scritto da tal Cosimo Pagnani dopo aver massacrato la moglie a coltellate. Post che, in poche ore, e comunque prima che il profilo dell’uomo venisse oscurato, ha collezionato oltre 400 condivisioni e più di 300 “mi piace” tra cui, si fatica a crederlo, anche quello di Rosa Pagnani, sorella della vittima).
La casistica di post riguardanti inoltre dati e materie altrimenti riservati è pressochè infinita, sino a raggiungere il parossismo di chi letteralmente pubblica foto e considerazioni su ogni momento della sua giornata, dalla colazione del mattino all’ultimo pensiero della sera prima di andare a dormire. Naturalmente la tutela della privacy non può poi essere invocata da coloro che si pongono consapevolmente nella situazione di violare norme che sono a tutela dei loro propri interessi e diritti, come purtroppo spesso accade quando si cerca di chiudere il proverbiale cancello quando i buoi sono già tutti scappati dalla stalla.
Prima che la viralità dei selfie contagiasse il mondo intero (nell’agosto del 2014 selfie è stata la parola più utilizzata al mondo), animali (soprattutto gatti) e cibo (soprattutto piatti più o meno elaborati serviti a cena durante le vacanze estive) erano i soggetti più postati, condivisi e commentati sui social network.
Il mio micio si è addormentato in una posa strana sul divano? Foto + post sul mio profilo. Al ristorante in costa azzurra mi hanno appena servito uno sfavillante composizione di frutti di mare? Foto + post sul mio profilo, e così a seguire, in una quantità di soggetti/oggetti ritratti con relativo commento che è potenzialmente infinita ed illimitata.
L’obiettivo è e resta sempre lo stesso. Mostrare agli altri brandelli della propria vita, ottenendone la condivisione, il consenso, il positivo commento e, naturalmente, il “mi piace”, il cui numero è la certificazione inappellabile del proprio successo virtuale. L’identità e il successo sui social network si pesano unicamente in termini numerici. Più sono le condivisioni del mio stato, più sono i “mi piace” ed i commenti ai miei post, più sono i miei amici, più io sono importante sul social network. La corsa è quella al successo, e proprio come nel mondo reale la si misura in termini di popolarità. Una corsa che non risparmia di certo gli utenti minorenni, ma che anzi li vede tra i maggiori protagonisti nello sgomitare mediatico sui social network, costantemente pronti a ritagliarsi fette crescenti di popolarità con post sempre più avvincenti, spettacolari e ammiccanti. Le parole d’ordine sono sempre le stesse. Esserci, apparire, contare, essere “cool”, fare tendenza, lasciare indietro gli altri che non sono all’altezza.
La vulnerabilità dei minori in questo turbinio virtuale di dati ed immagini (qualcuno a volte ha azzardato un crudo paragone con il tritacarne) non è trascurabile. Oggi non è certo un mistero, ed alcune società che assisto come avvocato me lo hanno confermato, che prima di procedere all’assunzione di un candidato a ricoprire una posizione in azienda, oltre al di lui CV tradizionale (quello contenente dati ed esperienze professionali), viene discretamente valutato (all’insaputa del candidato) anche quello del di lui profilo Facebook e Instagram (e sebbene una propria foto ubriaco e/o in atteggiamenti non proprio urbani, magari anche di diversi anni prima, di certo non scandalizza oramai più nessuno, potrebbe comunque essere valutata negativamente da un selezionatore di personale alquanto intransigente, o anche solo di pessimo umore al momento della scelta di un candidato piuttosto che di un altro). Questa ultima mia considerazione non vuole certo nascondere tra le righe un paternalistico decalogo del perfetto utente dei social network (non è né mio compito né mia intenzione quella di dispensare buoni consigli), ma solamente focalizzare l’attenzione su quelle che possono essere le conseguenze negative di una foto e/o un commento postato con estrema leggerezza. Ho già parlato sopra di internet come buco nero che tutto ingloba e “nulla smaltisce”, ragione per cui è sempre buona norma quella di rendersi conto che una propria foto postata oggi sul proprio personale profilo, potenzialmente potrà essere per sempre in rete, e ciò nonostante ci si attivi in ogni modo per cancellarne le tracce. Se, ad esempio, mi rendo conto di aver pubblicato su Facebook una fotografia che era meglio restasse privata, o postato un commento perdendo una buona occasione per altrimenti tacere, non sarà certo cancellandoli che avrò esercitato il mio diritto di “reset retroattivo”, perchè una volta entrato in rete dal mio profilo, l’”oggetto del ripensamento” vivrà di vita propria, diffondendosi viralmente tra profili di amici e maglie della rete. “Pensarci prima” è di solito uno dei sempreverdi comandamenti della vita reale, che diventa ancora più pregno di significato in quella virtuale, laddove agli errori è pressochè impossibile porvi rimedio.
“(…) Ma oggigiorno è proprio dietro al comportamento effimero che si celano gli aspetti ritenuti più interessanti dagli iscritti ai social network, e sono sempre “gli altri” a conferire legittimità ai nostri gesti, a fare di noi una persona di successo. Ma chi è una persona di successo? Un vip? Un opinionista che parla in televisione? Un famoso nell’isola? Uno scrittore di cui si vendono migliaia di libri? Nella incapacità/impossibilità di accedere direttamente ai posti del potere, la maggior parte di noi si inventa i propri strumenti di autoaffermazione, sperando in uno scatenamento aurorale di avatar: copie di copie di copie di copie tutte differenti e tutte uguali. Ciascuna di questa copie si procura i suoi wharoliani 15 minuti di fama al giorno. Ma la cosa non finisce qui. Mentre colleziona piccoli successi, proprio nell’istante stesso in cui lo fa, lascia fantastici materiali di scarto, oceani di non detto, zone di verità nascoste che proprio il meccanismo della compulsione narcisistica rivela a chi, come Andy Warhol e affini, se ne frega di giudicare “effimero” il fenomeno, preferendo raccogliere quell’ “altro” e quell’“altrove” che si scatenano con ogni messa in spettacolo di sé.”
(Katia Ippaso – blog 2012)
Sia però chiara una cosa, Facebook e gli altri social network sono un formidabile strumento a disposizione degli internauti, non si può perciò trascurare che il loro successo sta portando, e in qualche modo educando, a interagire on line, milioni di persone che fino a poco tempo fa erano digiune di un “utilizzo collaborativo” del web. Un segnale ancora più importante per il fatto che il fenomeno sembra ormai entrato nella cultura dei più giovani, molto probabilmente per restarci.
“(…) La massa critica si è raggiunta solo di recente in Italia. Un social network può essere anche il migliore del mondo, ma se non si viene a creare un network non serve a niente.Nella mia università il network ha cominciato a nascere circa 3 anni fa portato dagli studenti in scambio nelle università straniere dove era già imprescindibile. Da allora è uno strumento utilizzato in massa. Ed è infatti tra i più giovani che Facebook diventa una tessera di un mosaico molto più articolato di cui fanno parte sempre più spesso servizi come Twitter, Flickr, Oknotizie, Meemi, Del.icio.us e Mogulus.”
(Di Maio, early-adopter Università Bocconi – 2014)
Si torni ora al mai sopito dibattito “minori si / minori no” che puntualmente vede protagonista il principale social network del mondo.
“Ora Facebook decide di allargare il giro puntando ai giovanissimi, permettendo l’iscrizione anche agli under 13 (…) Per motivi di sicurezza e tutela dei minori fino a oggi Facebook non ha permesso l’iscrizione agli under 13, mediante il controllo della data di nascita richiesta al momento della registrazione al social network. Ma inserire una data diversa da quella vera è un gioco da ragazzi (anche se espressamente vietato), e con questo trucchetto si sono potuti iscrivere moltissimi ragazzini, molti addirittura sotto i dieci anni di età. Ovviamente sta ai genitori mettere in atto una serie di misure per proteggere i propri figli dai rischi che si possono correre in rete interagendo con dei malintenzionati. Un meccanismo di filtro-protezione, inizialmente previsto e poi saltato, era questo: fino all’autunno scorso Facebook impediva agli utenti tra i 13 e i 17 anni di condividere contenuti con tutti e non solo con i loro amici. Questo, ovviamente, riduceva i rischi di fare pericolosi incontri sul web. Ma per esigenze di mercato, visto che buona parte dei social network concorrenti non aveva restrizioni simili, Facebook ha rivisto le proprie regole allargando le maglie sulla sicurezza. Molti avevano protestato sottolineando che questa apertura avrebbe favorito, ad esempio, i pedofili. Ma Facebook ha sempre collaborato con la giustizia per combattere questo fenomeno criminale, sia aprendo i propri server agli inquirenti, sia sensibilizzando gli utenti a prestare la massima attenzione quando si naviga e si interagisce, tramite i social network, con delle persone sconosciute. Ovviamente serve anche il buonsenso (e i controlli) dei genitori.
(De Montis, Il Giornale , 31/05/2014)
Molto, anzi moltissimo, si è detto e si è scritto sul valore semantico della parola “amicizia” sui social network, Facebook in particolare, per cui qui non mi dilungherò su tale aspetto già ampiamente dibattuto, limitandomi solo ad una breve considerazione. Una vignetta dello storico New Yorker del 2012 mi ha particolarmente colpito per la sua fragorosa capacità di tramettere in modo immediatamente intuitivo la dicotomia oggi imperante tra i giovanissimi tra reale e virtuale, soprattutto nell’ambito delle relazioni interpresonali. La propongo qui in allegato così com’è, senza commenti, lasciandola intatta nella sua geniale semplicità comunicativa. (da New Yorker 2012)
ARTICOLO DI MARCO FACCIOLI, PUBBLICATO SU PERSONAEDANNO.IT IL 01.07.2015