Ne vale la pena
Ne vale la pena – Una sintetica riflessione, per punti, sui motivi per cui vale la pena lavorare con gli autori di violenza domestica, sessuale e di genere nei CUAV ad un anno di distanza dall’emanazione della normativa di settore e sulla base dell’esperienza pionieristica di Associazione LUI dal 2010.
Ne vale la pena:
- Perchè il legislatore internazionale – e di conseguenza quello Italiano – ci esorta ad accompagnare nei CUAV i soggetti autori o potenziali autori di violenza di genere in un percorso di assunzione di responsabilità e possibile cambiamento dei propri paradigmi -stereotipi culturali e comportamenti personali, sia all’esterno che all’interno delle strutture detentive. Una riflessione critica come costruzione di nuove possibili relazioni sociali.
- Perchè in larga misura la violenza di genere coincide con la violenza maschile contro le donne ed è agita in un contesto culturale e simbolico che la muove. E’ dunque importante farsene carico in luoghi dedicati, che abbiano una lettura adeguata del fenomeno e che partano da premesse pro-femministe in cui la violenza sia descritta come una struttura di potere-dominio e come una forma delle relazioni.
- Perchè la violenza di genere non è una devianza o un fatto emergenziale, bensì il frutto di un complesso ventaglio di fattori culturali strutturali che costituiscono le relazioni di genere e che tendono a far identificare in questi fattori l’autore di violenza. I CUAV sono centri di esperienze produttrici di conoscenza sul tema in parola e non solo meri servizi professionali.
- Perchè nei CUAV non si nega, non si minimizza, non si rimuove, non si occulta, non si giustifica, non si depotenzia l’evento violento per cui si è fatto accesso, al contrario si ricercano le radici più profonde dei comportamenti illeciti agiti dall’utenza, proponendo altresì l’adozione di comportamenti alternativi non-violenti.
- Perchè il percorso CUAV non si sostituisce alla pena afflittiva – nei casi di accesso per via giurisdizionale – ma si affianca a questa.
- Perchè la letteratura e le statistiche internazionali ci mostrano che i programmi rieducativi come i CUAV incidono sul tasso di recidiva, diminuendolo di circa un terzo. Ancor di più si può incidere sui soggetti incensurati.
- Perchè con questi programmi si aggiunge un nodo alla più ampia Rete dei Servizi Antiviolenza pubblici e privati, al fine di una proficua collaborazione ognuno per il suo profilo di competenza, in stretta relazione (se possibile) con i Centri Antiviolenza (CAV).
- Perchè i programmi CUAV dovrebbero approcciare il tema della violenza di genere da un punto di vista culturale e non solo operativo-professionale, come da obbiettivi legislativi.
- Perchè gli operatori dei CUAV dovrebbero aver svolto un percorso di riflessione personale, previo al diventare operatore per gli altri, in cui mettere in gioco il proprio coinvolgimento con il tema della violenza. Il nostro CUAV associativo non è privo di un contesto di riflessione maschile e pratica politica di autocoscienza, bensì ne è la diretta conseguenza.
- Perchè la partecipazione ai programmi CUAV è un impegno di cui, finalmente, si fa carico – anche materialmente – il soggetto autore o potenziale autore di un comportamento illecito, mettendo al centro l’autore e non la vittima-sopravvissuta (già sofferente).
- Perchè spesso l’occasione per accedere ad un possibile percorso di conversione personale coincide con momenti drammatici della propria esistenza e di quella della propria famiglia affettiva, figli e figlie compresi.
- Perchè l’occasione rieducativa, per lo più, coincide con il momento successivo a quello in cui si è posto in essere un comportamento illegittimo o un vero e proprio reato. Dunque, funge da prevenzione secondaria o terziaria. Oltre a chi entra volontariamente e preventivamente nei CUAV. A questo si aggiunga l’opera preventiva nelle scuole e quella formativa al personale di settore.
- Perchè durante il percorso rieducativo la motivazione alla partecipazione spesso diviene sempre più interna al soggetto, anche se inizialmente ha avuto una propulsione esterna.
- Perchè il fine rieducativo della pena (oltre alla pena afflittiva), anche sospesa, deve tendere alla rieducazione del condannato ed ad un migliore reinserimento sociale dello stesso.
- Perchè le legittime misure cautelari a protezione delle persone offese vengono valutate e graduate dal Giudice sulla complessiva base delle esigenze cautelari e non sulla sola base dell’accesso ad un percorso rieducativo CUAV da parte dell’indagato/imputato.
- Perchè uno degli obbiettivi dei CUAV è quello di contribuire – per la propria parte – ad una maggiore protezione e salvaguardia delle persone offese dal reato, che spesso coincidono con partner, ex-partner, figli, figlie.
- Perchè, prima del 2019, non vi era obbligo per gli autori di reato di violenza di genere con sospensione condizionale della pena di frequentare un programma rieducativo specifico.
- Perchè i CUAV dovrebbero essere composti da una equipe multidisciplinare specialistica che possa tentare di fornire risposte adeguate a bisogni complessi e articolati.
- Perchè l’eventuale strumentalità dell’accesso al percorso CUAV da parte dell’utente è comunque una occasione rieducativa.
- Perchè i programmi non rilasciano attestati di redenzione o infallibilità, bensì dichiarazioni di frequentazione e superamento del percorso, secondo i requisiti di legge.
- Perchè le risorse pubbliche eventualmente impiegate nei programmi CUAV, previste dal legislatore internazionale e nazionale, non erodono le risorse destinate ad altri Servizi parimenti importanti.
- Perchè gli oneri dei programmi rieducativi nei confronti di autori di reati di violenza di genere sono, per legge, a carico dei richiedenti.
- Perchè è importante che la narrazione mediatica non ponga in correlazione diretta le eventuali criticità dei CUAV con i fatti di cronaca nera. Il femminicidio è solo la punta dell’iceberg, purtroppo.
- Perchè il cambiamento personale è la finalità, non il presupposto per l’accesso ai CUAV; finalità peraltro non data per certa. L’obbligazione certa è il percorso da svolgere.
- Perchè bisogna credere nella possibilità di cambiare.
Avv. Gabriele Lessi e Dr. Jacopo Piampiani
(Co-Direttori del PUM-CUAV di Associazione LUI)