Perché servono i congedi di paternità
Un emendamento alla legge di stabilità propone l’introduzione di congedi di paternità obbligatori della durata di 15 giorni, a retribuzione piena, nel primo mese di vita del bambino. Un grande salto rispetto al giorno simbolico introdotto nel nostro paese dalla legge 92/2012 e in scadenza a fine anno. Il congedo di paternità è certamente un aiuto rilevante nel promuovere la cultura della condivisione della cura dei figli e della genitorialità e può assecondare il desiderio di quei padri che vorrebbero seguire più da vicino la crescita dei loro figli nei primi mesi di vita, senza che la loro scelta sia stigmatizzata all’interno dell’azienda. Si tratta di un segnale importante per scardinare la concezione secondo cui è sempre e solo la donna ad assentarsi dal posto di lavoro in seguito alla maternità e la gestione dei costi organizzativi ad essa associati debbano essere affrontati solo quando una dipendente diventa mamma, ma non quando un dipendente diventa papà.
Il dibattito sull’introduzione, o estensione, del congedo di paternità in Italia non è nuovo. In uno dei paesi europei caratterizzati dai maggiori differenziali di genere, nel lavoro, nella divisione dei ruoli tra uomini e donne, nel tempo dedicato alla cura dei figli e al lavoro domestico, il congedo di paternità appare da anni una misura promettente per fare passi avanti nella parità tra uomini e donne. Una misura che potrebbe innescare un riequilibrio sul mercato del lavoro, da un lato favorendo l’offerta di lavoro femminile, troppo spesso bloccata dal carico di cura della famiglia che grava prevalentemente sulle donne, dall’altro aumentando la domanda di lavoro femminile da parte delle aziende, sradicando l’idea che avere figli sia un costo associato alle madri. Nonostante questi riconosciuti aspetti positivi, il dibattito si è arenato di fronte ai costi relativi all’introduzione della policy, che hanno portato l’Italia nel 2012 a fermarsi ad un unico giorno (con ulteriori due giorni facoltativi alternativi al congedo di maternità della madre).
Molti paesi hanno già introdotto un congedo di paternità, di durata superiore all’unico giorno previsto dall’Italia. Non parliamo solo, come al solito, dei paesi scandinavi, ma anche di Spagna e Portogallo.
Cosa impariamo dall’esperienza di chi ci ha preceduto?
La Norvegia, come spesso accade quando si parla di policy legate alla parità di genere, fornisce alcuni studi scientifici solidi a cui riferirsi, che guardano all’introduzione del congedo di paternità come un esperimento naturale, e sono così in grado di identificare i suoi effetti in modo causale. Il congedo causa una maggiore partecipazione degli uomini alla cura dei bambini e migliori performance scolastiche dei bambini. Inoltre, riduce il conflitto nella coppia sulla divisione del lavoro domestico e ne ribilancia i carichi.
Meno chiaro è l’effetto sull’offerta di lavoro femminile, probabilmente perché in Norvegia il tasso di occupazione femminile è già molto alto.
Altri studi basati sull’evidenza americana, mostrano che i padri che hanno preso un congedo di paternità più lungo partecipano di più in attività che contribuiscono alla crescita dei propri figli.
La promozione della genitorialità e le ricadute positive sullo sviluppo dei bambini sembrano dunque risultati raggiunti dallo strumento.
Come costruirlo al meglio? Paesi diversi hanno congedi di paternità con caratteristiche diverse. Due aspetti cruciali nel disegno del congedo di paternità sono la non scambiabilità con il congedo di maternità e l’obbligatorietà. Mentre sul primo il consenso è unanime – per essere efficace, il congedo dei padri deve essere esclusivo e non cedibile alla madre, il secondo è in discussione. In tutti i paesi dell’Unione Europea, con l’eccezione del Portogallo – che prevede un congedo di paternità obbligatorio per due settimane e facoltativo per ulteriori due settimane – e del nostro unico giorno, il congedo di paternità non è una misura obbligatoria. Di nuovo, l’esperienza Norvegese mostra che, pur non essendo obbligatorio, la non scambiabilità garantisce che la quasi totalità dei padri prenda il congedo, visto che viene perso in caso contrario. C’è da chiedersi se lo stesso accadrebbe in un paese come l’Italia, dove la cultura di genere, sia degli individui sia delle imprese, è ancorata a una visione molto più tradizionale dei ruoli di uomini e donne rispetto alla Norvegia. Probabilmente il timore che non abbia la stessa efficacia ha portato a parlare di obbligatorietà nell’emendamento presentato in questi giorni.
(articolo di Alessandra Casarico e Paola Profeta del 19.11.2015 tratto da www.ingenere.it)
*L’articolo è pubblicato anche su www.lavoce.info; 27esimaora.corriere.it