21 Dicembre 2020

Un babbo in corsia

Un babbo in corsia

Metti che un giorno ti dicono che diventerai padre. Metti anche che il ginecologo di tua moglie individui due embrioni e ti dica d’improvviso: “questo è King Kong 1 e questo è King Kong 2”.

Sbam! Gioia e smarrimento, tremarella e voglia di saltare. Tutto questo avveniva in un caldo venerdì mattina del giugno scorso. Il giorno successivo, in preda all’ansia, mi recavo in concessionaria per visionare un nuovo modello di auto particolarmente capiente per ospitare il passeggino gemellare per le nostre creaturine in arrivo.

La mia storia di padre comincia così e – dopo due trimestri di amorevole crescita del pancione (di mia moglie e del mio…) – ci ritroviamo velocemente al 14 dicembre 2019, giorno in cui ricoverano improvvisamente Federica per una complicanza del terzo trimestre. Il 27 dicembre alle ore 22:00 circa, senza rendercene troppo conto, diventiamo genitori di Chiara e Raffaele, alla 33esima settimana gestazionale.

Prematuri, ma fortunatamente sani, i bambini sono rimasti un mese esatto in Terapia Intensiva a Pisa e noi genitori con loro. E’ in questo luogo insolito che ho iniziato ad essere effettivamente un papà. Insieme a me ho vissuto questa esperienza con altri ragazzi conosciuti lì in corsia: si chiamano Davide, Angelo, Francesco, Valerio, Nicola, Giampiero e molti altri ancora. I primi giorni sono stati i più intensi per tutti noi, perché vissuti a cavallo tra la Terapia Intensiva Neonatale e il reparto di Ginecologia e Ostetricia in cui erano ricoverate le nostre partner.

La “Family room” è stata il nostro “spogliatoio” nel quale condividere ansie, letture, esperienze e progetti futuri, mentre attendevamo che ci facessero entrare nella zona delle incubatrici. Con alcuni di questi neo-padri abbiamo condiviso dolori enormi dovuti alle patologie dei loro figli; con un padre di questi abbiamo persino patito la perdita di Daniele (lo voglio ricordare con tenerezza), deceduto inspiegabilmente pochi secondi dopo la nascita.

La corsia è stata davvero una scuola di vita in cui ci facevamo coraggio in attesa di un referto o di un colloquio con i medici. Anche se diversi per abitudini, professioni lavorative, scolarità, noi novelli babbi facevamo fronte comune e innescavamo una catena di solidarietà che è sfociata spesso in abbracci, lacrime, battute, saluti di conforto e piccoli gesti di affetto, come quando ci offrivamo a vicenda il caffè della macchinetta. Senza saperlo eravamo un piccolo gruppo di autocoscienza.

C’era un brulicare di padri intenti ad imparare a fare sondini rettali ed a medicare il moncone dei propri infanti, solo in pochi tra noi si rifiutavano di farlo indicando le loro donne come delegate al ruolo di cura. Molti di noi hanno avuto l’opportunità di sperimentarsi nella “canguro-terapia” con i pargoli sul petto, alternandoci con le mamme. Ognuno faceva del proprio meglio tra pannolini e rigurgiti, fino al rientro solitario a casa, momento in cui ci caricavamo di borse come muli da soma confidando in una pronta dimissione dei nostri cari.

Per noi neo-padri la corsia è diventata un luogo di ristoro, dai primi sguardi abbozzati fino ad arrivare agli occhi che si comprendono al volo: la corsia si è tramutata in una sorta di pista di decollo per il nostro futuro incerto. Oltre ai bambini, lì sono nate anche relazioni indimenticabili in cui in pochi giorni ci si è scambiati racconti di anni di vita, manco fossimo dei confessori. In quelle ore abbiamo dimostrato (soprattutto a noi stessi) di essere degli uomini virili, con il biberon in mano.

GL

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